Esercitazione 3: Elisa Montessori e Giovanna De Sanctis Ricciardone

 

                                                                                    Beatrice Aiuti e Leonardo Bernardini

 

Giovanna De Sanctis Ricciardone

 

Laureata negli anni ‘60 a Roma, presso la facoltà di Architettura Valle Giulia, luogo fatidico di mitologici scontri fisici, politici e culturali. Negli anni settanta decide di tradire tutto migrando presso l’Associazione Culturale  “Il Politecnico”, spazio aperto ad architetti, artisti, teatranti, musicisti, cine-maniaci, femministe, poeti e artigiani che si confrontavano con frenetica turbolenza, dove si occuperà per vent’anni della sezione Arti Visive.

Successivamente decide di abbandonare la grande città trasferendosi un paese della bassa Umbria per fondare il suo studio, iniziò così a dedicarsi  prevalentemente alla scultura progettuale facendo nascere il progetto Progetto-Arte. Nei suoi scritti si descrive come ;una “fuori-casta”, per istinto traditrice e fuggitiva da tutti i “sistemi”, compreso quello dell’arte, garante di privilegi che per me sono intollerabili gabbie.

La passione descrive la Ricciardone può generare una immaginazione visionaria attiva e creativa, da cui può nascere un pro- getto (ciò che si getta in avanti verso il futuro) non solo in senso architettonico, ma in tutti i sensi del vivere umano. Sostiene che l’azione creativa deve venire da uno sguardo rivolto verso la nostra anima, verso le passioni che si nascondono dentro di noi. Per questo è necessaria una torsione dello sguardo e sono necessari momenti di meditazione, deserto e silenzio visivo, libero dalla confusione delle immagini del mondo esterno.

Durante il suo percorso cerca  sempre di illustrare sinteticamente il suo percorso senza pretendere di predicare principi generali validi per tutti e precisa che le sue riflessioni sono sempre a posteriori: constatazioni successive alla fase immaginativa e materialmente creativa dei suoi lavori, sempre liberamente istintuale.

L’archetipo fondamentale  lo chiama Kosmos, ovvero il senso primigenio che l’essere umano ha di essere schiacciato da forze cosmiche, ma anche della necessità di comunicare con esse.

Nei disegni fatti tantissimi anni fa simbolizza la forza che va verso il cielo e la forza che spinge verso la terra. La Ricciardone definisce la scultura come  il luogo di un rito gravitazionale, sentendo il corpo a corpo con la gravità; il suo rito gravitazionale ricorrente è quello di  sollevare la massa, sottrarla all’asse verticale, e creare un  gioco con lo squilibrio dell’oggetto, la materia e il peso.

Alla fine degli anni ’70, quando ancora lavorava con il disegno e la pittura, comincia prepotentemente

ad emergere la mia passione per il Barocco, vera pulsione dal profondo, trascorrendo due anni di lavoro e idolatria su Bernini e le sue estasti , dalle pieghe dello sconvolgente panneggio berniniano estrae i misteri delle sue tante simbologie: il fantasma del femminile (che poi traduco in Euridice), l’immagine del caos cosmico, l’intuizione di uno spazio curvo, le forme danzanti di tante mie successive sculture. Nel 2007 infatti crea un importante mostra “ Barock “: in un’ex fabbrica ristrutturata erano stati collocati vari ed importanti spazi per la cultura, per ribadire la mia eterna passione per il barocco, rivissuto nel contemporaneo.

Negli anni ‘80 iniziò a lavorare con le torsioni, elemento che la lasciò affascinare anche dalla geometria delle rigate, strumento di tortura del piano, componendo una sorta di ibrido tra barocco e futurismo.

Nonostante il trasferimento in Umbria dove riuscì a conquistare quella dimensione di conoscenza interiore e meditazione, la Ricciardone mantiene sempre il suo legame con Roma e con il suo studio. Nei convegni a cui partecipò venne ribadita una problematica che era allora molto sentita: l’auspicata presenza dell’arte negli spazi urbani che  presupponeva un rapporto anche di collaborazione progettuale tra artisti ed architetti, oltre che una ricucitura di reciproci rapporti culturali che doveva iniziare già nelle università ed accademia, da sempre una sua passione ma vissuta in modo tormentato.

Inoltre durante la sua carriera si occupò di scultura progettuale partecipando attivamente ai concorsi pubblici. I meccanismi concorsuali, attualmente praticamente scomparsi, gli hanno permesso di

operare come perenne navigatrice fuori circuito fra il progetto e l’arte, consentendole economicamente, di non legarsi  a meccanismi di mercato e al cosiddetto sistema dell’arte, sempre più internazionalmente finanziarizzato.

Negli ultimi anni della sua vita iniziò un processo di archeologia di se stessa, deducendo anche i frutti dei suoi cinquant’anni di lavoro, traendo semi di molti generi.

 

Elisa Montessori

 

Raffinata nel segno e nella composizione, nella ricerca della Montessori si rintraccia l’influenza di due mondi: la fertilità culturale dell’occidente e quella più segnica e nascosta dell’oriente. Ed è proprio nel suo particolare utilizzo del segno che emergono al contempo le avanguardie storiche e le suggestioni orientali che vedono nel gesto stesso del tracciare una totalità di esperienze fisiche e mentali.

A partire dagli anni cinquanta, Elisa Montessori fa uso di linguaggi e tendenze stilistiche diverse, utilizzando una cifra minimale tra astrazione pura e evocazione figurativa, senza mai assoggettarsi ad una tendenza, un movimento, una moda. La sua è la storia della costruzione di un linguaggio indipendente, seduttivo, forte, generante; e al contempo un percorso di emancipazione femminile basata su una libertà creativa e politica che non ha mai creduto in una differenziazione di gender inscritta nella definizione di un immaginario e di uno stile, piuttosto nel diverso modo di osservare, relazionarsi e tradurre la visione; cattura le linee interne delle cose e fissa le relazioni tra di esse, da qui l’importanza delle forme stagliati contro un fondo che rappresenta l’ignoto, che danno spazio alla metamorfosi le molteplici visioni, le opere di Montessori comunicano soprattutto il suo esame del rapporto profondo che lega la donna alla natura intesa come momento di trasformazione, di metamorfosi.

Il suo segno deriva dalla natura: struttura e imprimitura di ogni lavoro dell’artista. Una natura composta da respiri vitali che animano l’universo, intesa nel suo incessante divenire, nella sua costante germinazione e tradotta in gesto automatico. Elisa Montessori è interessata all’imperfezione, al casuale, all’irregolarità, alle sorprese e ai rischi. Ogni sua opera cela l’imprevedibile, racchiude un segreto.
Nulla si crea, tutto si distrugge, tutto si trasforma. Nel cammino di Elisa Montessori, che ha discretamente e indipendentemente attraversato la storia dell’arte italiana con un’inimitabile integrità e coerenza, ogni opera è un percorso sfaccettato, personale e relazionale, avviato da un gesto accennato capace di aprire una successione di eventi e pensieri. Vive il mondo e lo guarda scavandone la superficie, traducendola attraverso una gamma di tratti che ci rivelano che ciò che ci si trova dinnanzi non è univoco, che un quadro racchiude sempre una domanda, aperto allo sguardo altrui, che vedere una cosa equivale sempre a trovarne un’altra.

 

 

Una domanda ad Elisa Montessori:

Nei suoi dipinti ricorre il tema del rapporto donna e natura in che modo sono collegati? E cosa le differenzia dall’analogo rapporto che potrebbe avere una figura maschile con essa?

 

 

 

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